martedì 26 aprile 2016

Rientrando dalla gita...

Eh già!


<<Beccarti, in [giro], gli sguardi giudici degli altri [turisti] ad ogni urlo un po’ più forte.
Rispondere allo stesso numero di domande che ti farebbe un bambino nella sua fase del “Perché?”, solo moltiplicato per 60 ragazzi, per tre giorni.
E metà delle volte la domanda è “Quanto manca?”.
L’altra metà è “Possiamo?”.

Possiamo stare da soli senza professori quando siamo là?
Possiamo scambiarci di stanza?
Possiamo andare in discoteca?
Possiamo chiedere il numero a quelle ragazze?
Possiamo farci un selfie con il militare antiterrorismo? Dai, ha anche il mitra, che figo!

Ridere come una scema circa sessanta volta al giorno.
Non devo distruggergli quel cellulare, non devo distruggergli quel cellulare, non devo distruggergli quel cellulare.
Fare a sé stessi ogni mezz’ora questa semplice domanda: “Ma ero anch’io così?”.
E dopo attenta analisi e onesto ragionamento, rispondersi: “Purtroppo, mi sa di sì”.

Essere percorsi da brividi di terrore ad ogni attraversamento di strada, ad ogni visita a qualche torre, ad ogni passaggio vicino a un fiume, con veri e propri film catastrofici proiettati alla testa mentre da fuori dici solo “Attenti!”.
Fare la faccia seria e intanto desiderare, intimamente desiderare, di essere lì non in veste di prof controllore ma ancora una volta, anche solo una volta, come studente casinista, di nuovo.
Non devo distruggergli quel cellulare, non devo distruggergli quel cellulare, non devo distruggergli quel cellulare.
Vederli mangiare ad ogni ora, e quantitativi di cibo che sfamerebbero mandrie di armenti. Con accostamenti geniali e potenzialmente letali che vanno da fragole + arachidi a patatine + cioccolato.
Passare vicino ad opere d’arte che ci sono giapponesi che prendono aerei per venirle ad ammirare, ma vedere i tuoi studenti eccitati solo quando passando di fianco a un McDonald’s.
Passare dall’aver voglia di ammazzarli all’aver voglia di abbracciarli in cinque secondi netti, sapere che nessuna delle due cose è conveniente, limitarti a sorridere.
Chiedersi costantemente “Ma a casa saranno così?”, sperare intensamente per i loro genitori di no.
Constatare che in tre giorni la parola che hai pronunciato di più è: sssssst!

E infine, ancora, sempre.
Non devo distruggergli quel cellulare, non devo distruggergli quel cellulare, non devo distruggergli quel cellulare.
Ma la rifarei domani>> .


da E. Galiano


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